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Sentinella, quanto resta della notte?

Il Vega virus, un’allegoria non troppo allegoria

Un’allegoria, neppure troppo velata, di un fatto che, purtroppo, ci tocca tutti da vicino. La ragione in questi casi un po’ vacilla e ci lasciamo andare a comportamenti irrazionali. Ma se riflettiamo con calma forse, possiamo penetrare l’apparenza e possiamo fare qualche considerazione (suffragate da studi e riflessioni) che forse ci potrà essere utile per capire cosa stia veramente avvenendo.

An allegory, not too veiled, of a fact that, unfortunately, affects us all closely. The reason in these cases somewhat falters and we indulge in irrational behavior. But if we reflect calmly perhaps, we can penetrate the appearance and we can make some considerations (supported by studies and reflections) that perhaps will be useful to understand what is really happening.

IL FATTO

Scoppia una epidemia in un luogo lontano. Diciamo sul pianeta Vega.

Le notizie, anche per la distanza, sono frammentarie. Anche sulla Terra e nei mondi vicini si capisce però che la questione è piuttosto seria.

Una città, una di quelle rossa di mura e turrita costruita alla confluenza di due fiumi dalle stagnazioni plumbee, che aveva avuto qualche rilevanza politica un centinaio di anni prima e che ora è cresciuta a dismisura diventando il capoluogo di una regione famosa per la costruzione di pezzi per astronavi che vengono esportati in tutta la galassia ne è, suo malgrado, il centro di diffusione così come se fosse l’epicentro di uno spaventoso terremoto che scuote le fondamenta dell’intero pianeta.

Ma ora nessuno si interessa della sua storia o della sua ubicazione o del ruolo economico che ha, ma solo del virus che l’ha colpita amplificato a dismisura dalle immagini, autorizzate o meno (Chan e una città vegana e Vega è dominata da un regime di tipo totalitario particolarmente sensibile alle informazioni interne che lo riguardano), che provengono da quei luoghi lontani.

Informazioni che, per quanto tacitate, vengono riportate da mercanti o da partigiani della libertà di pensiero che, con mezzi di fortuna, informano gli abitanti dell’Universo di quello che sta avvenendo.

Alla fine anche i governanti di Vega sono costretti a dare informazioni oltre che a confinare con una cortina, apparentemente impenetrabile, la parte del suo pianeta affetto dal contagio. L’idea, per sommi capi è: amputare prima che la cancrena si diffonda. Avviene cioè quello che si vede in tanti film di guerra. Se in un sottomarino entra l’acqua  si chiudono ermeticamente le paratie di un comparto con tutti i marinai che ci sono dentro per salvare gli altri marinai e l’imbarcazione stessa nella sua quasi totalità. Con un ragionamento utilitaristico si preferisce sacrificare pochi per salvare la maggioranza.

Ma le formazioni ufficiali (alle quali non tutti gli altri pianeti credono ritenendo che vi siano omissioni e mistificazioni) non sono per nulla rassicuranti.

A parte la crescita rapida dei contagiati e l’assenza di una cura certa, preoccupano altre comunicazioni che sembrano marginali ma che non lo sono affatto.

Eccone due che la Terra capta con le sue potenti parabole direzionate verso Vega.

COMUNICATO 07

«Il compagno direttore ha preso parte alla battaglia contro il VIRUS VEGA 19, sfortunatamente è stato contagiato ed è morto alle 10.54 di questa mattina, nonostante i grandi sforzi per salvarlo. Il dottor L. dell’ospedale di Chang aveva solo 51 anni ed è caduto dopo aver dato un importante contributo al lavoro di contrasto e controllo dell’epidemia».

COMUNICATO 11

«È morto il dottor L. W., medico di Chang, che ha per primo dato l’allarme sull’epidemia».

Soprattutto nel primo comunicato il dottor L. viene presentato come fosse un eroe, trattato dalla narrazione vegana come un generale ucciso in prima linea da un nemico invisibile. Un nemico invisibile e per questo più subdolo e pericoloso. Un po’ come l’elettricità che fa meno paura del fuoco che si vede e si percepisce, ma che non è affatto meno pericolosa.

Il comunicato 11 vegano è invece particolare per un altro motivo, che ritroveremo anche più avanti, e cioè il controllo della comunicazione. La scelta di cosa dire e come dirlo.

Ogni mondo governato da un sistema totalitario, come quello vegano, controlla rigidamente dal centro ogni tipo di comunicazione per rafforzare il potere ed evitare ogni forma di dissenso. Il fatto che qualcuno come L. W. abbia fatto uscire un’informazione bypassando i rigidi controlli non ha fatto certo piacere al potere. L.W. ha preferito un’eticità più ampia di quella strettamente legata al confine di un piccolo pianeta, ma questo lo ha portato ad essere perseguitato e a pagare, anche con la libertà personale, il suo gesto che è stato considerato come ribelle e, in un certo senso, rivoluzionario.

I dittatori di Vega non hanno perso tempo e lo hanno arrestato e imprigionato gettandolo in uno di quei buchi umidi e bui che chiamano prigioni e dai quali si esce raramente ancora vivi.

L’arresto e la prigionia, in questi casi però, non sono sufficienti, ma per rendere innocue le sue parole bisogna screditarlo.

Lo si fa spesso utilizzando falsità e comunicati artefatti ad arte per screditare la sua persona e ogni notizia data da lui e trasmessa, furtivamente, per tutto l’Universo. Non è bello, né giusto essere perseguitati e vilipesi per le proprie idee o le proprie parole tantomeno quando si cerca di fare qualcosa che si crede doveroso per il bene degli altri.

Tuttavia, a volte, non basta la retorica e neppure la menzogna per sconfiggere la realtà. Valga come esempio di oggettività, che mi riprometto di riutilizzare altre volte in questa scritto, “l’esperimento della ciabatta” di Ferraris (M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma -Bari 2014, p 39.)

Una ciabatta posta su un tappeto non è una idea o un pensiero ma è una cosa reale e lo è per l’uomo, il cane, l’edera, un verme e anche per un’altra ciabatta.

Puoi fingere che non esista ma la ciabatta è lì per tutti e tutti la percepiscono (e ci vanno a sbattere o la evitano di proposito perché esiste).

Allo stesso modo i vegani possono fingere di non vedere la malattia ma alla fine essa esiste.

I vegani si ammalano, hanno bisogno di cure, muoiono e allora l’uomo che l’aveva scoperto e predetto, l’uomo che era stato cancellato, dimenticato in un buco nero, torna alla ribalta, lo si deve riabilitare in qualche modo. Lo si rimette in servizio…purtroppo muore, ma questo è solo un danno collaterale.

Quando gli ammalati raggiungono un certo numero gli scienziati di Vega, non certo tra i più apprezzati, non possono far altro che prendere una decisione molto poco elegante, chiudere la zona del contagio e lasciare che la malattia si spenga come una candela senza ossigeno.

Si costruiscono muri, si gettano reti sperando che nessun pesciolino sfugga al confinamento. Anzi se qualcuno sfugge alle disposizioni lo si ricerca, lo si acchiappa e lo si passa per i disintegratori.

Ma quando i vegani chiudono la regione del loro pianeta ormai qualcuno si è già allontanato inconsapevole, ricordo che il virus è invisibile, e ha abbandonato quel Pianeta per diventare un novello untore lungo la galassia.

Ai vegani che lasciano il loro pianeta si aggiungono poi gli abitanti degli altri mondi che cercano salvezza lontano da quei luoghi infetti, senza pensare che così facendo possono a loro volta diventarne ignari veicoli o cavalli di Troia che introducono il nemico all’interno del muro delle loro città.

LA TERRA

Un virus è bizzarro. Non corre come un treno su una rotaia ma scarta, si nasconde e poi riprende a correre, a moltiplicarsi ad infettare chiunque gli si para innanzi.

Probabilmente lo consideriamo perfido, ma perfido non è. Non più almeno di una slavina che travolge un gruppo di sciatori, o di un terremoto che annienta una città.

Certo sarebbe meglio che non ci fossero, ma, purtroppo, ci sono e ci si deve convivere o almeno tentare di farlo.

La Terra se ne sta placidamente al riparo protetta dalla sua atmosfera.

Alcuni terrestri oziano guardando uomini in mutandine rincorrere una sfera di simil cuoio, altri gettando canne da pesca in acquitrini semi inquinati.

Ma ci sono un numero ben maggiore di terrestri indaffarati in quello che chiamano lavoro o indaffarati nell’indaffararsi, basta che siano in movimento e in mezzo ad altri podisti dell’esistenza come loro.

Tutti insomma hanno qualcosa da fare o da non fare tranne che preoccuparsi di quello che sta avvenendo su Vega.

«Vega è lontana» si dicono rassicurandosi, «su Vega ci sono discutibili pratiche igieniche ed alimentari…Sulla Terra un virus così non potrebbe mai arrivare e se anche arrivasse sarebbe subito sconfitto. Il sistema sanitario terrestre è il migliore dell’Universo, in un solo sospiro tutto sarebbe debellato

Già, l’autoconvinzione aiuta a riposare felici. Finché, e torniamo alla metafora della ciabatta, non si sbatte contro la realtà. Qualcuno sorprendentemente si ammala. Un caso qui, un caso lì. Nulla di cui preoccuparsi veramente. «Saranno stati su Vega – ci si dice – oppure saranno venuti a contatto con un vegano

Qualcuno vorrebbe chiudere tutti gli astroporti (ed è un suo vecchio pallino, valido per tutte le stagioni); qualcun altro vorrebbe aprirle ancora di più, far attraccare e sbarcare chiunque, tanto il rischio è minimo e non si risolve in questo modo (e anche questo è un suo vecchio pallino, valido per tutte le stagioni.)

Più che altro sono slogan gettati come coriandoli in faccia al mondo, senza riflettere, senza confrontarsi. I casi aumentano. Nessuno sembra preparato. Le autorità mondiali e quelle locali si rimpallano le decisioni senza un’apparente logica.

Chiusura totale auspicano alcuni. Apertura dei luoghi di ritrovo e dei musei chiede qualcun altro forse per la paura che le persone a stare in casa si deprimano troppo.

Anche tre istituzioni salde e storiche vacillano fino a fermarsi. Scuole, stadi e Chiese (ma non tutte, solo quelle di periferia ma non le Cattedrali che forse sono, per storia o fede, immuni al virus).

Gli stadi chiusi creano probabilmente più problemi di tutto. I tifosi sconsolati si chiedono: «Ma cosa farò la domenica? Chi potrò insultare dagli spalti rimanendo impunito?»

Ma non sono solo i tifosi ad essere sconvolti. I dirigenti delle squadre protestano perché rinviando le partite si falsano i calendari aiutando (a loro parere) ora l’una ora l’altra squadra. Qualche mezzo di comunicazione più ardito degli altri o forse solo più attento a vendere il suo prodotto, cavalca questo importante argomento teorizzando la rilevanza “politica” ora di una ora dell’altra dirigenza sportiva cercando di convogliare l’attenzione della massa (soprattutto maschile) verso questo annoso problema. Per le donne fioriscono invece i gossip di qualche bel muscoloso o di qualche subrettina.

Intanto, malauguratamente, il numero di MORTI continua a salire.

Per quanto non si voglia pensare alla ciabatta ma si cerchi di non vederla pensando ad altro, purtroppo, la ciabatta esiste.

Si chiudono, avete letto bene, si chiudono in quarantena intere zone del pianeta. Un fatto assolutamente grave a cui non si era giunti negli ultimi cinquant’anni, limitando la libertà di circolazione degli stessi cittadini mentre dagli altri Pianeti, infetti o non infetti, possono venire ancora sulla Terra.

Qualcuno si domanda con una certa lungimiranza: «Ma non possiamo aprire i Musei?». Qualcun altro risponde con la stessa lungimiranza «Ma chi diavolo andrà in sti’ Musei se visitatori di altri Pianeti non ci sono e i terrestri ci vanno solo sotto tortura quando tutto va bene e non c’è proprio altro da fare?»

Se proprio, proprio, dobbiamo riaprire qualcosa di utile allora riapriamo gli stadi.

«La Terra si rialza» è lo slogan che certi creativi inventano per dare morale alle truppe stressate da bollettini medici troppo simili a quelli di guerra per non farci caso.

Gli altri pianeti prendono la distanza dai terrestri, chiudendo i loro astroporti all’attracco delle navi spaziali terrestri.

«Problema risolto» pensa qualcuno «così i non inclusivi non siamo noi. Noi ci facciamo un figurone. Beh forse siamo trattati come untori, come appestati, siamo un po’ emarginati ma prima o poi anche questo passerà… »

Anche i vegani, udite, udite mettono dei veti agli sbarchi di chi proviene dalla Terra.

La situazione tende a peggiorare o forse no…non si capisce molto…ognuno esprime la propria opinione e quando vuole cercare una conferma o avallare la propria tesi si appella alla scienza o ad uno scienziato che, più o meno indipendente, si trova in pubblico con poche certezze e con il compito di dare una spiegazione a dati e decisioni spesso in contrasto tra loro.

Forse sarebbe più onesto intellettualmente chiedere del tempo per riordinare i dati e trovare collegamenti e spiegazioni che sotto la pressa del momento appaiono del tutto oscure e farraginose. Ma si sa con l’onestà intellettuale non si paga la villa o la fuoriserie o la bambinaia.

Ognuno si barcamena come può per non affogare.

Giorno dopo giorno i terrestri ricordano tanto il buon Orlando privato del senno che combatte contro tutto e tutti lasciandosi andare a gesti e a parole spesso del tutto incoerenti.

Similmente i leader terrestri, giungono ad affermazioni, anche in conferenze ufficiali, apodittiche del tipo: «Ciò che possiamo con sicurezza affermare è che i morti sono morti.»

Affermazioni degne del miglior Jacques II de Chabannes de La Palice meglio conosciuto come l’ovvio Le Palice da cui il termine arcinoto di lapalissiano.

Ora si deve solo sperare nell’arrivo di un buon Astolfo che in groppa  dell’ippogrifo inizi il suo viaggio verso la Luna per recuperare il senno perduto di molti terrestri, siano essi negazionisti o catastrofisti.

SETTE PICCOLE RIFLESSIONI

1) Il virus all’epoca della società liquida  

(Libro di riferimento: Z. Bauman, Modernità Liquida, Laterza, Roma – Bari 2011).

Utilizzando un’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, con “modernità liquida” si indica un’epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. La modernità liquida viene descritta da Bauman come la fase più dinamica della globalizzazione, nella quale un ruolo di primo piano è giocato dalla crisi delle tradizionali prerogative statuali che innescano processi di privatizzazione e di deregolamentazione.

Tale concetto porta ad alcune conseguenze. Ne voglio sottolineare due.

La prima. La difficoltà di arginare, anche a causa della globalizzazione spinta e quindi della forte interconnessione tra Stati, una epidemia in un luogo ben preciso.

La seconda l’incapacità dello Stato, in una società liquida dove «l’unica costante sia il cambiamento e l’unica certezza sia l’incertezza» e dove la coesione sociale è assai fragile non affondando più su solide radici, di produrre una strategia valida e condivisa per affrontare una emergenza.

2) Il paradigma scientifico

Uno dei problemi alla situazione attuale nasce dal passaggio del sapere scientifico dal paradigma della certezza a quello della probabilità a quello dell’incertezza.

Nella società contemporanea si sta verificando, soprattutto in questo periodo di difficoltà, un cambiamento del metodo che si adotta per lo studio dei fenomeni. Si sta passando, infatti, da un metodo assiomatico – deduttivo, a un metodo sperimentale – induttivo. Il METODO ASSIOMATICO DEDUTTIVO procede da principi primi per derivarne logicamente le conseguenze, il METODO SPERIMENTALE – INDUTTIVO propone modelli del suo oggetto di studio e li sottopone a verifica sperimentale.

Mentre il metodo assiomatico deduttivo parte da una presunta certezza il metodo sperimentale – induttivo è essenzialmente un metodo dinamico perché manca di una conoscenza assoluta e mette in discussione le proprie conquiste per perfezionarle. Di fronte ad un virus nuovo non si può che, in base ai dati, modificare

costantemente il paradigma di riferimento cercando di trovare qualche elemento che possa spiegare e contenere il fenomeno.

Certo è che le risultanti parziali di un metodo di questo tipo sono difficili da comunicare. I non esperti non chiedono, infatti, risposte in divenire ma certezze affidabili e questo un tale metodo, almeno inizialmente, non può darlo generando spesso confusione.

3) La fiducia (totale) nella scienza

(Libri di riferimento: T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 2009; P. Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 2013).

Molto spesso per giustificare le proprie decisioni o per avallare quelle poco gradevoli i politici si appellano alla scienza. A volte peggio ancora danno la parola agli scienziati che se questi potessero avere tutte le risposte ai quesiti che giustamente i cittadini pongono e che riguardano la salute, bene assai prezioso.

Gli scienziati, però, sono ancora in una fase di acquisizione dei dati per cui in una fase di pseudoscienza come sosterrebbe Kuhn.

Kuhn afferma che la scienza attraversa ciclicamente alcune fasi indicative della sua operatività. Per Kuhn la scienza è paradigmatica, e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza è riconducibile all’esistenza di un paradigma. Ebbene di fronte a un nuovo evento o fenomeno come un virus il paradigma non si è ancora consolidato. Siamo quindi nella cosiddetta Fase 0, è il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall’esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro prive di un sistema di principi condivisi. In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti e presenta molta confusione. A un certo punto, e non sembra questo il momento, della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma, l’insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all’interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori.

Ora siamo nella fase che Feyerabend definirebbe di “qualsiasi cosa va bene”.

In questo momento quindi le valutazioni tecniche sono valutazioni di buon senso che hanno però un valore molto relativo.

Questo senza voler cavalcare le teorie di Feyerabend secondo cui la scienza non merita il suo ruolo privilegiato nella società occidentale, poiché i punti di vista scientifici non nascono dall’uso di un metodo universale che garantisca conclusioni di alta qualità. Anzi il metodo, le evidenze scientifiche, soprattutto in un periodo di crisi, assomigliano a quelle di altri saperi come le religioni e non sono affatto superiori.

Risentono inoltre di ascendenze che esulano dalla scientificità pura, ma che hanno più a che fare con la contingenza (politica, economica, sociale) che, in qualche modo, ne influenzano i comportamenti e talune decisioni.

La fragilità iniziale della teoria (ancora molto sensibile ai dati empirici soprattutto se discordanti), assieme alle enormi pressioni che premono sugli esperti che vengono responsabilizzati per ogni scelta da farsi (e che invece spetterebbe ad altri) possono creare, in una fase di turbolenza, molto sconcerto nei cittadini che irrazionalmente possono seguire altri cantori o cadere in una forma di scetticismo che li fa dubitare di tutto e che può alimentare una qualche forma di complottismo o di anarchia nel comportamento (ad esempio: mi confino in casa anche se non ho nulla – esco sempre tanto se mi devo infettare…almeno prima mi diverto…).

4)  Il problema della decisione

In una situazione di particolare emergenza diviene fondamentale decidere con rapidità e razionalità.

Per definire cosa si intende per decisione buona, e quindi anche migliore, è necessario definire le caratteristiche di una decisione. Ve ne sono almeno cinque aspetti: efficacia, efficienza, robustezza, tempestività e giustificabilità.

Ad esempio una decisione è efficace quando è tale da raggiungere gli obiettivi, ed è efficiente quando consente di ottenere molto in termini di obiettivi.

Per farlo si è ricorsi anche a modelli predittivi logico-matematici utili per supportare le decisioni. Supportare non sostituire perché se esistono più variabili e soprattutto più obiettivi tra loro in concorrenza solo il decisore finale e quindi l’uomo può stabilire le priorità (es. salute vs. economia).

Ma cosa avviene se il decisore è più preoccupato di inseguire un effimero consenso politico che non il benessere dei suoi amministrati? A cosa servono i modelli predittivi se il criterio è accontentare i desiderata dei consociati che chiedono ora regole drastiche per contenere l’epidemia, ora libertà aggiuntive per non finire in isolamento?

5) Solitudine

(Libro di riferimento: B. Pascal, Pensieri, UTET, Torino 2014;

Articolo: M. Canauz, Viaggiando per la città nel Tempo e nello Spazio: il Flâneur, Stanzaunozerouno)

Emerge chiara la sindrome dell’uomo della folla, descritto nel mio articolo: Viaggiando per la città nel Tempo e nello Spazio: il Flâneur.

Anche davanti a una emergenza molte persone sembra non riescano a ritagliarsi un momento di solitudine.

Sinistre risuonano le parole di Pascal: «Niente è insopportabile all’uomo quanto di essere in un completo riposo, senza passioni, senza faccende, senza divertimento, senza un’occupazione. Avverte allora il proprio nulla, il proprio abbandono, la propria insufficienza, la propria indipendenza, il proprio vuoto. Subito saliranno dal profondo dell’animo suo la noia, l’umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione. …Ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper starsene in pace, in una camera».

Meglio quasi, quasi affrontare, invece del proprio isolamento esistenziale, il nemico invisibile, cercando di superare sempre e comunque la propria solitudine.

Valgano in questo senso di inno allo “stare insieme” il più possibile, anche a costo di assumersi dei rischi per la propria salute, le parole di un’albergatrice di Gressoney-La Trinité: «Qualcuno lo ha capito, ma c’è una follia generale dove, per paura di morire, si sceglie di non vivere».

6) Rapporto élite dominante – popolo.

In una situazione come questa di emergenza esplode in tutta la sua drammaticità il problema delle informazioni e del rapporto di comunicazione tra il potere politico e i cittadini.

Una precisazione, evito qui di affrontare il rapporto tra casta ed élite che è argomento centrale nella riflessione sulle élites politiche e amministrative. Se, infatti, si privilegiasse il concetto di “casta” si darebbe una valenza negativa alla classe al potere ma questo non è quanto si voglia qui sostenere.

Il problema è cosa e come il potere deve comunicare in casi emergenziali.

Si è criticata la Cina perché essendo un regime totalitario ha diramato poche notizie e molto “pilotate”.

Ma il problema della comunicazione, anche in relazione ai nuovi mezzi usati per farlo e alle possibili mistificazioni, è all’ordine del giorno in molti dibattiti.

Alcuni hanno sottolineato come si possa riconoscere nelle notizie false o almeno parzialmente false, il tentativo di obnubilare qualcosa che si decide di patinare con le sembianze della pubblicità, per renderla veritiera e accettabile, quando in realtà si è di fronte a qualcosa di mistificato.

Molte parole dette per cercare di nascondere il vero senso di ciò che sta accadendo creano una contraddizione o un vero corto circuito tra ciò che si afferma e ciò che avviene (es. riapriamo i bar per far riprendere la vita dei cittadini – chiudiamo un’intera Regione per motivi di salute).

Si diffondono notizie perché siano accolte come vere sulla base delle emozioni, non del controllo razionale effettivo di ciò che è stato pubblicizzato, per cui rendere pubblica una notizia non basta più per legittimare la moralità dell’atto compiuto e annunciato.

Ma il problema può essere ancora più radicale.

Secondo l’economista Giulio Sapelli, dell’Università Statale di Milano, molti errori di comunicazione sull’emergenza coronavirus sono stati fatti del governo italiano «che hanno creato paura e panico. Peggio di così non si poteva gestire la situazione».

In realtà, probabilmente, in un sistema dominato dai media in cui tutti, come dopo una partita di pallone, si sentono di esprimere i propri convincimenti (non sempre supportati da adeguate conoscenze) o le proprie emozioni si finisce per creare due partiti opposti ai quali tutti tendono ad iscriversi, quello dei catastrofisti e quello dei negazionisti (per tacere di quello dei complottisti che di fronte ad avvenimenti come questi prende sempre forza sostenendo, ad esempio non si sa con quali prove, l’idea che il virus sia stato creato artificialmente) è difficile gestire al meglio la comunicazione con il rischio di dire troppo o troppo poco.

Tuttavia mi sembra che le informazioni siano state e siano tutt’ora (anche grazie ai nostri politici) troppo incerte e contrastanti per ridare un po’ di reale serenità ai cittadini.

7) Uno sguardo all’economia

(Articolo di riferimento: G. Righini, Il modello come strumento razionale di conoscenza e di decisione: dall’uso scientifico all’uso giuridico, in  AA.VV., Ragionare per decidere, a cura di B. Montanari-G. Bombelli, Giappichelli, 2015.)

I problemi sanitari così rilevanti come quello che sta colpendo l’Italia e il mondo hanno ovviamente un importante riflesso economico.

L’economia ha natura polivalente. È una disciplina al contempo sia descrittiva, sia predittiva che prescrittiva.

Per facilitare lo studio dei fenomeni economici, anche in connessione con il piano teorico, si utilizzano i modelli descrittivi e predittivi mentre i modelli prescrittivi sono utilizzati per supportare le decisioni ipotizzando gli scenari futuri.

Una differenza rilevante rispetto all’ambito scientifico – ingegneristico è dato dal fatto che nei sistemi economici e sociali agiscono persone libere, non oggetti determinati da leggi fisiche.  Ciò significa che non sempre il soggetto si comporta allo stesso modo soprattutto quando eventi esterni possono spaventarlo o al contrario renderlo euforico.

Ma un modello economico è, per sua natura, basato su una struttura logica (rappresentabile anche in forma analitica, mediante equazioni) che illustra le relazioni esistenti tra diverse variabili economiche per offrire una descrizione semplificata, ma coerente, del sistema economico.

Un modello che dovrebbe ispirare interventi di politica economica (o modelli di strategia), che indicano come intervenire per farlo funzionare meglio, ossia come le Autorità devono utilizzare in modo adeguato gli strumenti disponibili per raggiungere i loro obiettivi di politica economica.

Ovviamente ogni modello di politica economica si “fonda”, in qualche misura, su un modello di economia politica, perché per intervenire e correggere la realtà economica è necessario prima conoscere come funziona.

Ma cosa avviene se come in questo caso gli attori economici operano irrazionalmente, se le autorità politiche hanno a cuore più il consenso e non il benessere economico dei cittadini o comunque inseguono obiettivi differenti e spesso contrastanti? I loro interventi ispirati più dall’emotività del momento che dalla ragione aiutano l’economia già notevolmente provata a recuperare o creano solo ulteriori incertezze e quindi aggravano la crisi?

Ultimamente quando vi sono state delle crisi economiche, come quella innescata dalla Lehman Brothers del 2007, i governi non hanno mostrato capacità di gestirle al meglio finendo per amplificarne gli effetti negativi.

Come scrive Righetti questo è avvenuto per la mancanza di un vero piano strategico, per l’uso errato dei modelli predittivi, ma anche per il comportamento dei soggetti economici che non sempre hanno operato razionalmente. Speriamo che in questo caso le cose vadano diversamente anche se le prime avvisaglie mostrano l’incapacità di molti, pure in posti di responsabilità, di fronteggiare la crisi con provvedimenti chiari ed incisivi anche da un punto di vista economico.

Dopo il tornado rimangono le rovine, le macerie, ma all’iniziale sgomento deve seguire la voglia di ricominciare seguendo indicazioni chiare e coerenti. Speriamo di trovarle, come gradita sorpresa, nel prossimo uovo di Pasqua.

UNA IPOTESI DI CONCLUSIONE

Allontanato da tutto e da tutti in una casa a picco sulla scogliera medito su quanto sta avvenendo e ne traggo alcune incerte conclusioni.

Se è importante affrontare il tema della conoscenza e della comunicazione, è altrettanto importante parlare del dubbio, che misura l’incertezza della conoscenza.

Il dubbio è parte della conoscenza, ma la conoscenza chiede fiducia nella logica e nell’esperienza. Il dubbio sistematico (dubitare sempre e comunque di tutto) non produce nessuna informazione, ci lascia in una situazione di ignoranza che ci conduce alle soglie dell’irrazionalità. Se si ritiene falsa o imprecisa ogni altrui affermazione o ragionamento si rischia di isolarsi in una forma di solipsismo cognitivo o peggio di assoluta incapacità di capire e quindi di agire o reagire.

Probabilmente seguendo Cartesio, soprattutto in questa situazione di massima incertezza, si dovrebbe considerare l’illusorietà del mondo fenomenico e in generale rifiutare ogni forma di verità dogmatica o qualsiasi affermazione apodittica anche se rilasciata da questa o quella autorità pubblica.

Ma alla fine l’uso del metodo scettico deve portare a selezionare qualche convincimento basato sulla ragione e sulla coerenza che dovrebbero guidare i nostri comportamenti.

Certo che ciò che è disposto e che viene detto, ad esempio chiusura scuole ma apertura caffè o bar anche se solo con servizio al tavolo, non aiuta la ragione di nessuno…o così a me sembra.

Perciò armiamoci di pazienza e usiamo il buon senso per guidare le nostre azioni sempre che non si sia (definitivamente) ammalato.

Maurizio Canauz @ 2020

 

Un commento su “Il Vega virus, un’allegoria non troppo allegoria

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